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Vi è mai capitato di guardare la stessa immagine a colori e in bianco e nero? Il bianco e nero conferisce una bellezza delicata. Quando si adagia su oggetti, persone, edifici, animali, ecc., regala loro un soffio di eterno. Un’alternanza di luci e ombre che sapientemente calibrata può rendere l’immagine poetica e riportare la memoria ad antichi ricordi, come una sorta di “petite madelaine” proustiana.
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Il bianco e nero evoca, rievoca, non appiattisce, anzi, approfondisce il racconto silente della città. Accompagna lo sguardo, fa si che si posi proprio su ciò che si desidera far emergere, il bianco e nero ammorbidisce, leviga, addolcisce, mette in risalto ciò che sfiora.
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Ed ecco che il contesto urbano prende vita. La città regala storie di pacifica e semplice quotidianità: uomini, donne, bambini, animali, monumenti, panni stesi al sole, tutto è investito dall’incanto del chiaroscuro. Tutto è fermato in un istante. Non c’è colore, lo si può immaginare, se si vuole, ma non ha importanza.
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Ciò che importa è la vita che a sorpresa si snoda tra vicoli, viuzze, strade, sottopassi: c’è chi cammina, chi corre, qualcuno è fermo a chiacchierare, una sposa nel suo abito bianco, lo scorcio di un duomo con il suo bellissimo rosone, la statua di un’epoca non troppo lontana.
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La città vive o muore attraverso le nostre azioni. Essa ci appartiene. Siamo noi, con i nostri gesti e comportamenti, a metterla in luce o in ombra, proprio come una fotografia in bianco e nero. L’anima della città si esprime con delicatezza, senza chiasso, né trambusto, solo con le sue luci e le sue ombre. Ogni città, piccola o grande che sia, offre spunti di riflessione.
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“D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”. (1)
1. I. Calvino, Le città invisibili, in Collezioni “Supercoralli” e “Coralli” n.182, I ed., Einaudi, 1972
Testo: Giuliana Cancogni
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